ROMA, 25.09.19 – Il rapporto speciale dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) su oceani e aree coperte dai ghiacci, presentato oggi nel Principato di Monaco, mette nero su bianco la crisi dei nostri oceani, gravemente colpiti dai cambiamenti climatici.
«La scienza ci offre un quadro al contempo agghiacciante e convincente. Gli impatti che le emissioni di carbonio prodotte dall’uomo hanno sui nostri oceani si stanno sviluppando su larga scala e a un ritmo molto più sostenuto rispetto a quanto ci aspettassimo: c’è bisogno quindi di un’azione politica senza precedenti per evitare che il nostro Pianeta subisca conseguenze umane, ambientali ed economiche devastanti» dichiara Giorgia Monti, responsabile campagna Mare Greenpeace Italia.
Gli oceani svolgono un ruolo fondamentale nel sostenere la vita sulla Terra. Insieme alle calotte polari, sono fondamentali per regolare la temperatura del nostro pianeta, oltre ad assorbire il 20-30 per cento del carbonio dall’atmosfera terrestre, gli oceani regolano le piogge (e quindi la disponibilità di acqua potabile e la produzione agricola) e il clima del nostro pianeta. Ai tassi attuali di emissioni, si calcola però che stiamo scaricando negli oceani un milione di tonnellate di CO2 ogni ora, con conseguenze – come rivela il rapporto
dell’IPCC – devastanti sulla vita marina.
Il rapporto IPCC – basato su quasi 7.000 studi di oltre 100 tra i maggiori studiosi a livello mondiale – valuta anche gli impatti sulle calotte ghiacciate nelle regioni artiche e antartiche; lo stato dei ghiacciai, del permafrost (suolo congelato) e della distribuzione della neve nelle zone di alta montagna, con le relative conseguenze sull’innalzamento del livello del mare e le sue implicazioni per le isole, le coste e le comunità che le abitano. Analizza anche l’impatto del riscaldamento dei mari e dell’acidificazione degli oceani sugli ecosistemi, sulla pesca e sui mezzi di sussistenza in diverse regioni, presentando scenari sulla frequenza e l’intensità future delle tempeste tropicali e delle ondate di calore.
«Il rapporto è un altro allarme per quei governi che continuano a non reagire alla crisi climatica in atto. Lottare contro i cambiamenti climatici e rafforzare la capacità di ripresa dei nostri oceani sono azioni che devono andare di pari passo. I governi e l’industria devono adottare misure decisive per abbandonare i combustibili fossili e rimanere al di sotto di 1,5°C. Allo stesso tempo è necessario tutelare le zone più sensibili dei nostri oceani per permettere a ecosistemi chiave di recuperare e adattarsi ai drammatici cambiamenti in atto» conclude Monti.
I governi di tutto il mondo hanno la possibilità di fermare la crisi dei nostri oceani negoziando entro il prossimo anno alle Nazioni Unite un efficace Accordo Globale per gli Oceani che permetta la creazione di una rete di Santuari Marini per tutelare almeno il 30 per cento dei nostri oceani entro il 2030. Solo mantenendo i nostri oceani sani e vitali potremo superare la crisi climatica in atto e garantire un futuro al nostro pianeta.
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Gabriele Salari, ufficio stampa Greenpeace Italia, 342.5532207
Giorgia Monti, campagna Mare Greenpeace Italia, 345.5547228
SCHEDA
Il rapporto IPCC evidenzia, tra le altre cose, che:
· Il livello del mare potrebbe aumentare di un metro al 2100 se il riscaldamento globale eccedesse i 3°C, che è l’aumento di temperatura atteso se non cambiano le attuali politiche dei governi. Questo comporterebbe l’evacuazione di milioni di persone dalle aree costiere.
· Dal momento che la temperatura della superficie del mare aumenta e assistiamo all’acidificazione degli oceani, gli ecosistemi marini verranno compromessi. Anche con un aumento di 1.5°C, potrebbero morire fino al 90% delle barriere coralline.
· Un esteso scioglimento del permafrost (suolo gelato presente soprattutto nelle aree artiche) è previsto in questo secolo. Il permafrost artico e subartico contiene quasi il doppio dell’anidride carbonica attualmente presente nell’atmosfera.
· Per la fine di questo secolo la frequenza delle ondate di calore potrebbe aumentare del 50% (se la temperatura aumentasse di 3-5 ℃) rispetto alla fine del diciannovesimo secolo.